Sei già stato a Gorizia?
Se no, una cosa che sogneresti di trovare: Un ambiente sano, sereno, dove l’aspetto artistico e lo scambio siano al cuore dell’ospitalità.
Secondo la tua personale esperienza:
La danza è…un vasto mondo di relazioni interne ed esterne, una costante evoluzione di sé, del proprio corpo e della consapevolezza del proprio essere nello spazio e con gli altri. Un linguaggio, uno scambio, una filosofia di vita, una professione…
La danza può…creare unioni interpersonali, elaborare nuove visioni di sé e dell’universo che ci circonda. Può aprire orizzonti sociali e di scambio ma altresì, essere un trampolino per una sana costruzione culturale di un territorio che ha voglia di nuove prospettive.
La danza sarà…sempre un’arte primordiale, un linguaggio di unione e condivisione. Uno spazio virtuale tra anima e corpo, tra l’individuo e il mondo sociale. Sarà sempre l’energia che costituirà luoghi e incontri, relazioni umane.
La cosa più difficile che la danza ti ha fatto sperimentare: La relazione alle pressioni politiche e alle influenze passeggere di moda e di mercato culturale che piegano molto spesso l’essenza dell’universo artistico.
La cosa più bella che la danza ti ha fatto scoprire: Non farsi soffocare dalle difficoltà, anche se complesse, ma cercare continuamente nuove risorse e motivazioni personali. Non cadere nel sedentarismo ma essere sempre alla ricerca di nuovi stimoli…lasciare sempre lo spazio alle scoperte e agli incontri, allo stupore e all’animo generoso.
Un consiglio a una compagnia che inizia: essere sempre in costante ricerca, creare collaborazioni di ogni genere, porsi spesso quesiti ma sapersi, al tempo stesso, ricompensare.
Non perdere mai l’obiettivo primordiale della danza: forma di aggregazione e di scambio. Essere sempre generosi e all’ascolto. Imparare a rispettare questo mondo come qualsiasi universo professionale, scindendo tra passione e professione evitando, quindi, di esserne sopraffatti.
Un augurio al tuo pubblico: Di lasciarsi trasportare dalle emozioni, di non cercare di costruire una logica drammaturgia teatrale nella danza ma, di cogliere con estrema libertà la poetica, l’energia e la sincerità attraverso i gesti, le relazioni sceniche tra gli interpreti e la scenografia. Perché anche un’oggetto, come nell’immaginario di un/a bambino/a, può trasformarsi in personaggio. Vivere la visione di una pièce come un viaggio…dove il percorso è una condivisione tra l’artista che lo cede e il pubblico che lo riceve.
Cosa ha ispirato il tuo spettacolo, in 3 parole: Ho voluto raccontare in questo lavoro di un padre batterista che mi ha trasmesso l’amore per la curiosità artistica ma allo stesso tempo la durezza dell’incomprensione.
Ho ampliato la visione del rapporto Padre-Figlio, analizzando la posizione dell’erede, chiedendomi in che momento della vita avviene l’accettazione del ruolo dell’altro come “semplice uomo” e non come un’immagine idealizzata.
Ora convincimi a venire a vederlo: HERES: NEL NOME DEL FIGLIO, è un lavoro che parte da una reale energia pulsante, da un sentimento concreto che scuote il tempo e lo spazio. Non si nasconde dietro un concetto o la paura di essere eccessivo, questo lavoro vuole condividere, senza filtri, la bellezza e la resistenza tra Padre e Figlio, tra cedere e conservare, tra l’accettazione e repulsione. HERES è una comunicazione tra musica e danza. È un gioco di ruoli, tra i due batteristi e il danzatore.
Noi, in scena, non fingiamo ma riviviamo ogni giorno quel viaggio che dedichiamo, con la stessa intensità, ogni volta, a coloro che si lasciano trasportare!